Quando, dopo tantissimi anni che è entrato a far parte del tuo orizzonte culturale, parli di Lucio Battisti hai sempre la sensazione che sia già stato detto tutto e non ci sia nessun dettaglio tecnico interessante e nuovo da scoprire, ma facendo scorrere le tracce di uno qualsiasi degli album dell’immenso compositore riesci a capire quanto la vastità (non solo in senso orizzontale e cioè relativo al numero di canzoni scritte in tutta la sua carriera, ma anche dal punto di vista verticale e cioè della profondità qualitativa) della sua opera sia continuamente motivo della scoperta di qualcosa di nuovo a cui fino a quel momento non potevi aver pensato.
Quando Battisti arriva a confezionare il suo tredicesimo album in studio, nell’autunno del 1978, dalla vita ha avuto decisamente tutto, anche se, come per tutte le cose ci sono dei lati oscuri che vanno analizzati per meglio comprendere la situazione contingente che circonda questo specifico lavoro.
Se questi anni sono anni relativamente felici dal punto di vista personale, con il piccolo Luca che cresce e il matrimonio finalmente celebrato (in forma strettamente civile) con Grazia Letizia Veronese (personaggio più volte a posteriori paragonato a Yoko Ono) il periodo non è invece dei più felici per lui dal punto di vista professionale.
La sua naturale propensione a volere fare sempre qualcosa in più, a non ritenersi mai soddisfatto e contento di ciò che si è fatto finora sta raggiungendo livelli mai visti e quasi patologici.
Non è bastata l’America Latina di cui aveva subito il fascino durante un lungo viaggio con la compagna e non è bastato il tentativo di fusione della mediterraneità con la musica sudamericana nell’album Anima latina, Battisti vuole di più, non riesce ad essere appagato.
Dal 1975 ha subito alla grande il fascino degli States che ha visitato in lungo e in largo durante un viaggio partito in solitaria, ma poi raggiunto dal fido (fino ad allora) Mogol, soffermandosi soprattutto a New York, Los Angeles e a San Francisco (venne cancellata la tappa a Nashville per poter stare più tempo a Los Angeles) a osservare le nuove tecniche di registrazione e il nuovo sound che in quegli anni cresce rigoglioso in quella zona fortunata e baciata dalla dea della musica.
Alla West Coast e al nuovo suono entrato nel cuore di Lucio è dedicato l’album Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera composto di canzoni scritte appunto oltreoceano, come Ancora tu.
Per questo, anche se di fondo non è d’accordo a utilizzare materiale già pubblicato per farne un’edizione inglese, cede alle pressioni della casa discografica e dovendo realizzare un album nuovo decide di concepirlo in California e la prima cosa che gli viene in mente di fare è di realizzare un’opera a due binari, che si sviluppi in lingua madre, ma pensata per essere tradotta e pubblicata anche sul mercato di lingua inglese.
Nel 1977 il musicista di Poggio Bustone produce l’album Io tu noi tutti e già dal momento della scrittura verrà contattata dallo stesso Lucio Marva Jane Marrow per curarne l’edizione in inglese. Purtroppo il rapporto con Mogol non è più idilliaco come i primi tempi e il famoso paroliere disconosce le traduzioni della Marrow e commissiona una nuova traduzione a Peter Powell che effettuerà un lavoro molto più letterale, ma che risulterà incomprensibile e senza senso per gli ascoltatori inglesi, complice anche la pessima pronuncia di Battisti. Il disco in inglese Images verrà ignorato, anche a causa della pochissima promozione e del pochissimo supporto dati dalla casa discografica. Anche con l’uscita del disco in Italia le cose non cambieranno molto.
E’ quindi chiaro che dopo questo doppio passaggio a vuoto Battisti aveva il bisogno concreto di riempire le casse e rifarsi delle ingenti perdite avute.
Aveva bisogno di un disco dalla facilissima comunicativa e che arrivasse dritto dritto nei cuori della gente. E, con la maestria di cui solo lui era capace riuscì a dare alla sua poetica musicale un orecchiabilità assoluta e riuscì a chiedere a Mogol, nonostante i crescenti dissapori, soprattutto economici (Mogol non vedeva riconosciuta equamente la sua partecipazione al successo, soprattutto a causa delle esose pretese della neo-moglie dell’artista), di confezionare 8 ritratti urbani assolutamente contemporanei basati sulla mutazione dei rapporti e dei valori tra uomo e donna (tematica fondamentale degli anni ’70 in pieno femminismo post sessantottino).
Si recò a registrare a Londra (Audio International Studios) con Simon Hurrell come aiuto fonico e nell’Oxfordshire (The Manor Studios) con Alan Douglas, sempre come aiuto fonico, mentre l’intero lavoro fu registrato e mixato da Greg Walsh.
La produzione artistica fu affidata a Geoff Westley che arrangiò l’intero lavoro e suonò anche le tastiere su tutto l’album. La band che portò a compimento le session di registrazione era composta da Gerry Conway alla batteria, Dave Olney e Paul Westwood al basso, Pip Williams alla chitarra e Frank Ricotti alle percussioni aggiuntive.
Scorriamo le 8 tracce della versione in cd in nostro possesso:
- PRENDILA COSI’: Il disco si apre con questa traccia molto lunga (quasi otto minuti) che parla della situazione di due persone che affrontano come si ritroveranno una volta terminata la loro relazione. Una canzone piuttosto semplice, ma comunque eccellente, una delle migliori mai scritte da Battisti, armonicamente molto interessante, impreziosita dall’assolo del saxofono di Derek Grossmith. Molto bello anche l’arrangiamento degli archi, curato da Westley che ricorda molte produzioni di disco music americana a metà degli anni ’70. Bellissima.
- DONNA SELVAGGIA DONNA: Bellissimo 6/8 con la partecipazione della chitarra acustica di Graeme Taylor e dell’elettrica di Lawrence Juber. Un inno a non sottomettersi mai, nei limiti della civiltà, al nuovo avanzare delle pretese di libertà femminile, difendendo così ognuno la propria precisa identità. Riecheggiano in questa canzone suoni e melodie molto mediterranei.
- AVER PAURA D’INNAMORARSI TROPPO: Le soluzioni armoniche tanto care a Battisti sono tutte presenti in questa canzone piuttosto lunga che inneggia al non lasciarsi andare del tutto in amore per riuscire a conservare un certo equilibrio personale.
- PERCHE’ NO: Forse la canzone più bella mai scritta da Battisti. Un valzer che pur essendo strettamente collegato al tempo in cui è stato concepito riesce a far raggiungere al brano stesso la categoria delle canzoni senza tempo. Le immagini sono attualissime, ma allo stesso tempo contestuali alla canzone stessa.
- NESSUN DOLORE: Battisti è universale, tante sue canzoni hanno avuto moltissime interpretazioni, ma questa forse ne ha avute più delle altre. Un rock gustoso dagli accenti dance che vede nella partecipazione ai cori di Chris Neil, Dominic Bugatti e Frank Musker una delle sue perle più preziose. Il giro di basso più bello dell’intera produzione di Battisti.
- UNA DONNA PER AMICO: Una canzone nata per essere un singolo radiofonico e (cosa importantissima ai tempi) un brano acchiappamonetine nei juke box. Suona ancora molto moderna, ma come tutto l’intero album a cui dà il titolo è stata concepita per sfidare il tempo e le sue ingiurie. Molto gustoso l’intro con i rumori di casa in sottofondo, la voce del figlio Luca e lo stesso Battisti che canticchia il motivetto trainante del pezzo.
- MALEDETTO GATTO: Bello il gioco col talk box su cui si regge l’ouverture del brano. Canzone nata più sul divertimento che su una necessità compositiva reale dell’artista. Divertente è anche la metafora usata per riferirsi al terzo incomodo e a tutte le difficoltà connesse alla gestione di una situazione del genere.
- AL CINEMA: L’unica canzone del disco che anche a ripetuti ascolti non riesce a svelare il secondo fine che invece solitamente in Battisti dopo un po’ appare chiaro. E se invece fosse tutto qui? Se stiamo ai fatti è così…
Un disco che suona perfetto e sofisticato in tutte le sue parti, estremamente equilibrato tanto da risultare per alcuni esigenti ascoltatori (che infatti sottolineano quanto esso sia distante da Anima latina, il cui piglio “screanzato” era decisamente diverso) freddo e senz’anima.
Non è naturalmente la stessa idea del sottoscritto che infatti lo ritiene uno dei migliori dischi di Battisti, certamente rimane il suo disco di maggior successo commerciale.
Alla prossima.
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