Un’altro artista che riscuote parecchio favore e che sulle radio “specializzate” di settore, passa con costante frequenza è Keith Urban. L’australiano (ma neozelandese di nascita) è idolo di folle oceaniche (di ragazze, ragazzine e mamme per la sua indiscutibile avvenenza e prestanza fisica e maschietti musicofili per l’indiscutibile talento nel suonare la chitarra) sia prima che dopo essere diventato il marito della superstar cinematografica Nicole Kidman. Cosa che però all’epoca del disco di cui parliamo oggi doveva ancora avvenire.
Keith Urban è nato nel 1967 a Whangarei, nei territori del nord in Nuova Zelanda, ma fin da bambino è cresciuto in Australia. Da sempre ha avuto la passione per la chitarra, che ha imparato a suonare praticamente da autodidatta (con poche lezioni prese dalla sua maestra) cercando di emulare il suono di Mark Knopfler e di Lindsey Buckingham dei Fleetwood Mac (da entrambi ha ereditato tuttora la passione per il finger picking, tecnica di cui è un vero e proprio maestro).
Nel 1991, dopo aver partecipato a numerosissimi concorsi e anche a un talent show in Australia pubblica con l’etichetta EMI Australia il suo primo omonimo album, che non riscontra però i favori che si aspettava (raggiungerà la novantottesima posizione delle classifiche australiane, anche se verranno lanciati 4 singoli da questo album).
Ma Keith Urban non si dà per vinto, decide di trasferirsi a Nashville, nella culla del country, prende lezioni di canto da Brett Manning, diventa il chitarrista del duo Brooks & Dunn, insomma comincia a muovere i primi suoi veri passi nel country business.
Dovranno però trascorrere ancora sei anni perché intraprenda di nuovo la via della pubblicazione di materiale inedito. Questo avviene quando mette insieme la band “The ranch” con cui pubblica l’album omonimo nel 1997. Intanto si è fatto conoscere scrivendo per altri, compreso Toby Keith per cui ha scritto un singolo natalizio nel 1995.
L’album di “The Ranch” ottiene un buon successo, con due singoli in classifica, ma evidentemente Keith Urban non è ancora soddisfatto, perché proprio mentre la band si accingeva a entrare in studio per il secondo lavoro lui la scioglie e decide di proseguire da solo. Pubblica nel 1999 un altro album che porta il suo nome e cognome che è il suo primo vero grande successo contenendo il suo primo singolo a finire in vetta alle classifiche, “But for the grace of God”.
Il suo successo accresce maggiormente nel 2002, quando pubblica “Golden Road” che contiene il singolo “Somebody like you”, un successo planetario, tanto da essere stata definita da Billboard come la miglior canzone country dei primi dieci anni del ventunesimo secolo. Altri due singoli di questo album vanno al primo posto, ma con meno successo e riscontro, cioè “Who wouldn’t wanna be me” e “You’ll think of me”.
Questo enorme successo poneva quindi Keith Urban nell’obbligo morale di doverlo proseguire.
L’approccio al suo quarto album in studio doveva quindi essere ottimale.
Con un gruppo di 14 canzoni (una la scrive da solo, due sono cover, nove le scrive in collaborazione con grandi songwriters e in due non mette mano) di cui due prodotte in perfetta solitudine e autonomia e il resto prodotto a 4 mani con Dann Huff entra in studio per produrre quello che a tutt’oggi rimane il suo album che ha venduto di più in assoluto, con più di 4 milioni di copie sul mercato.
In studio il lavoro viene seguito da Brady Barnett, Justin Niebank e Mark Hagen che si alternano alla consolle a seconda delle session in cui viene registrato il disco.
Keith Urban sceglie di andare in studio con un nutrito gruppo di musicisti (di cui fanno parte anche i musicisti che normalmente lo seguono in tour): le canzoni possono essere divise in due gruppi, nel primo gruppo ci sono le canzoni che hanno la sezione ritmica composta da Chris McHugh alla batteria e Jimmie Lee Sloas al basso, il secondo gruppo ha Matt Chamberlain alla batteria e Paul Bushnell al basso. Le tastiere sono suonate su tutto il disco da Tim Akers e il piano da Jimmy Nichols e Steve Nathan. Gli strumenti a corde sono appannaggio quasi totale di Keith Urban stesso e del suo fido secondo Tom Bukovac. In più il produttore Dann Huff è arcinoto per essere un grandissimo e rinomato chitarrista e non manca di piazzare lo zampino qui e là. Jonathan Yudkin suona il violino e Bruce Bouton la steel guitar. Russell Terrell aiuta Keith Urban sostenendo la sua voce ai cori. Eric Darken suona le percussioni.
Su un paio di tracce compare anche una poderosa orchestra (vera) le cui partiture sono scritte e dirette dal mitico Paul Buckmaster, noto ai più per essere da sempre l’arrangiatore orchestrale di Elton John.
Una volta terminate le session di registrazione il disco è stato mixato da Justin Niebank e il master finale è stato affidato a Adam Ayan che se ne è occupato al Gateway Mastering di Portland, nel Maine.
L’album esce con due copertine diverse, una a colori per il mercato americano e una in bianco e nero per il mercato australiano. Noi scegliamo questa seconda per presentarvelo, trovandola più accattivante e più “sul pezzo”.
Scorriamo quindi queste 14 tracce:
- DAYS GO BY: Tipico stile rock’n’country come da marchio di fabbrica di Keith Urban che infatti di questo brano è co-autore assieme a Monty Powell (considerato la mano destra di Keith Urban, data la collaborazione di lunga data e tuttora perdurante tra i due). Canzone basata sulla familiarità country del suono del mandolino e della chitarra folk, accostata però al suono piuttosto rock della chitarra di Urban e al taglio altrettanto rock di basso e batteria.
- BETTER LIFE: Canzone scritta a quattro mani da Urban e dalla rockstar Richard Marx. Il suono è meno acustico del brano precedente (a parte la presenza del banjo). Uno dei brani più famosi e ballati dell’artista neozelandese. Dotato di una melodia micidiale che si attacca addosso come la gomma da masticare (particolare appartenente a molte delle composizioni di Richard Marx).
- MAKING MEMORIES OF US: Prima ballata struggente del disco è la cover del brano di Rodney Crowell. Atmosfera magica in un brano suonato benissimo e che suona benissimo. La classica canzone da infilare in una compilation da regalare alla fidanzata…
- GOD’S BEEN GOOD TO ME: Interamente scritta e prodotta da Urban che vi suona tutti gli strumenti tranne basso e batteria. Country tradizionale per mantenere ben salde le radici.
- THE HARD WAY: Il brano porta la firma di Gordie Sampson e Rivers Rutherford. Un’altra ballata molto quieta, dolce e suggestiva.
- YOU’RE MY BETTER HALF: Scritto da Urban in collaborazione con John Shanks (che di mestiere fa il produttore di pop-rock) è un brano che serve a placare la sete di pop-rock del cantautore neozelandese. Anche qui l’aggiunta del banjo non basta a farlo essere country come invece Keith Urban vorrebbe sembrare. Ma… piace.
- I COULD FLY: Questo invece è country, pur portando esattamente le stesse firme del brano precedente. Qui la miscela ha funzionato meglio. Misteri dell’alchimia.
- TONIGHT I WANNA CRY: Il pianoforte suonato dalla mano esperta di Steve Nathan la fa da padrona in questa triste ballata finché non entra l’orchestra ad accompagnarlo per rendere un’atmosfera struggente che caratterizza un brano che per Keith Urban ha ormai fatto storia.
- SHE’S GOTTA BE: Torna in questo brano la collaborazione con Monty Powell. Un brano a buona andatura in cui fa bella mostra di sé ancora l’orchestra condotta da Paul Buckmaster. Uno degli episodi più riusciti dell’intero disco.
- NOBODY DRINKS ALONE: Porta la firma di Jim Collins e dalla country singer Matraca Berg uno dei brani che fanno riferimento diretto a una delle esperienze peggiori della vita di Urban che ha lottato per una decina di anni contro l’alcoolismo, ma vuole dire che nessuno beve da solo, perché è sempre in compagnia dei suoi demoni e dei suoi problemi.
- COUNTRY COMFORT: E qui si paga il tributo al grande Elton John con una cover che non aggiunge nulla a un disco che già suona bene da solo, senza il bisogno di questi episodi, che, in tutta onestà, rimangono un po’ lì…
- LIVE TO LOVE ANOTHER DAY: Scritta a quattro mani con Darrell Brown con cui Urban aveva già scritto “You’ll think of me”. Questa volta l’accoppiata non dà i frutti sperati e il brano non aggiunge granché e risulta piuttosto piatto anche se piacevole.
- THESE ARE THE DAYS: Pezzo molto acustico, scritto con il fedele Monty Powell sull’aria del riff di “Days go by”. Parte lento poi raggiunge un buon livello. Chiude la versione americana, ma non quella australiana che comprende anche la traccia n° 14.
- YOU (OR SOMEBODY LIKE YOU): Scritta da Gordie Sampson onestamente è una delle canzoni del disco che mi piace di più.
E’ il disco più venduto di sempre di Keith Urban e il motivo è chiaro, mostra un artista al top della sua forma e fama, grande lavoro di produzione e grande lavoro di scrittura.
Sì, sono d’accordo, è il suo disco più bello.
Alla prossima.
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