Andiamo a parlare oggi di uno di quegli album che fanno parte di una ristretta schiera di lavori, dal momento che le sue vendite sono attorno ai venti milioni di copie. Non stiamo quindi parlando di un “Thriller”, di un “Back in black” o di uno “The dark side of the moon” (i tre best seller di tutti i tempi che abbiamo già trattato e che nella trattazione di oggi ci torneranno utili), ma stiamo comunque parlando di un album che se non altro per meriti commerciali, è altamente simbolico dell’hard rock maggiormente di moda e maggiormente commerciale nella seconda metà degli anni ottanta, quel periodo in cui i dischi si vendevano davvero, un hard rock fatto di molta melodia, cori a profusione, suoni rotondi, arrangiamenti raffinati e curatissimi e di eccessi virtuosistici tenuti grandmente a freno.
I Def Leppard, però, in un periodo in cui va di moda l’hair metal non sono propriamente un bel vedere, anzi, hanno l’aria un po’ sporca e alticcia (e non solo l’aria…), non sono particolarmente carismatici sul palco, non sono dei fenomeni vocalmente e nemmeno strumentalmente, tutt’altro, il loro successo si lega alla chimica che instaurano con il produttore/mentore, il sudafricano Robert John “Mutt” Lange, che abbiamo già incontrato come artefice del successo di “Back in black”, il quale riesce a realizzare con la band di Sheffield un sensazionale capolavoro, portando una band sulla carta piuttosto “scarsina” a tirare fuori doti che certamente nessuno di loro sapeva di avere e che non erano pronosticabili per nessun motivo.
Un talento però i ragazzi del “leopardo sordo” (“Def Leppard” è la dizione slang di “deaf leopard”) ce l’hanno sicuramente, si mettono al lavoro con certosino zelo (provengono da una città che basa la sua economia sull’operosità delle acciaierie, è una città operaia, narrata benissimo nel film The full Monty) agli ordini del genio produttivo di Lange, anche per quanto riguarda le composizioni si lasciano guidare, con massacranti turni in studio. Insomma, gli permettono di realizzare il suo capolavoro manageriale.
I Def Leppard vengono da un grande successo esploso nel 1983 con l’album “Pyromania” (prodotto da Mutt Lange anch’esso), un successo che però aveva visto la cacciata dello storico chitarrista Pete Willis (a cui subentrò Phil Colleen in fase di registrazione) per evidenti problemi di alcoolismo. Si mettono al lavoro già nel 1984 per dare seguito a un album che ha venduto quindici milioni di copie (quasi tutte negli Stati Uniti dove i nostri sono apprezzatissimi).
Le sessioni cominciano a Dublino nei vecchi Windmill Lane Studios (in Windmill Lane, dove sono stati fino al 1989, prima di essere trasferiti in Ringsend Road dove sono tuttora), ma l’album viene prevalentemente registrato a Hilversum in Olanda ai Wisseloord Studios (di proprietà della Philips) e a Parigi (allo Studio Des Dames in Rue des Dames, nel 17eme). Il master viene effettuato da Bob Ludwig presso Masterdisk a New York.
La formazione della band che entra in studio vede la voce di Joe Elliott, le chitarre di Steve Clark e Phil Colleen, il basso di Rick Savage e la batteria di Rick Allen.
L’album del previsto ritorno del quintetto di Sheffield ha già un progetto con un nome, si dovrà chiamare “Animal Instinct”. Ma dopo qualche tempo di pre-produzione Mutt Lange decide di mollare lì la baracca in preda a crisi esistenziali e a stress da iper-lavoro. La band decide quindi di assoldare Jim Steinman (il produttore e autore capace di portare Meat Loaf al successo dal nulla). Jim Steinman però è negato per quanto riguarda il lavoro in sala, lascia correre errori di registrazione piuttosto evidenti, non è per nulla né preciso né maniacale, che sono le due caratteristiche che servono per una band non tecnicamente eccelsa come i Def Leppard e viene cacciato dopo poco tempo. La band a questo punto prova a produrre il materiale da sé, ma la notte di capodanno del 1985 il batterista Rick Allen rimane coinvolto in un incidente automobilistico che gli impone l’amputazione del braccio sinistro. La band rimane profondamente scossa da questo incidente, ma il ragazzo ha un cuore grande come una casa (come del resto lo hanno anche i suoi soci) e fa una promessa alla band: “se mi aspettate io mi rimetto in forma e in grado di tenermi il posto”, fa un contratto con la Simmons, marca produttrice di batterie elettroniche e interfacce per digitalizzare il suono della batteria, e fa quanto promesso, si rimette al suo posto e pronto a registrare il nuovo materiale, anche senza un braccio, ma con un pedale in più che gli permette di schiacciare un trigger con il suono del rullante.
Le sessioni rimangono ferme per circa un anno, quando Mutt Lange ritorna e riprende a lavorare all’album.
All’inizio citavamo i tre album più venduti della storia della musica, e la citazione in gruppo è corretta, perché Mutt Lange che è certamente il fautore del successo planetario di “Back in black” era entrato in studio con l’intenzione di fare un disco come “Thriller” in chiave hard’n’heavy. Diciamo che gli è riuscito sicuramente invece di fare un “The dark side of the moon”, perché come quel capolavoro anche “Hysteria” dei Def Leppard è un capolavoro di ingegneria sonora, anzi un vero capolavoro dell’ingegnere del suono, dove là c’era Alan Parsons qui c’è lui.
Stiamo parlando del 1986 (l’anno in cui è stato registrato) e stiamo parlando di un disco registrato esclusivamente in analogico su nastro. Per cui tutte gli effetti di “nastro rallentato” o “velocizzato” dati alla voce di Joe Elliott e a tutti i cori sono stati fatti attraverso miriadi di sessioni a rallentare e velocizzare un nastro fisico. Sembra facile, ma in realtà è un lavoro che richiede una pratica maniacale.
E poi il suono che ha questo disco…
Ora, sono passati quasi trent’anni, e tralasciamo il suono obbligatoriamente digitalizzato della batteria (tutti i suoni di batteria sono stati processati tramite un Fairlight CMI, un papà dei campionatori di oggi, costosissimo e molto in voga ai tempi, e quel riverbero anni ’80 sul rullante che lo rende stucchevole per quelle che sono le nostre orecchie oggi) ma le chitarre sono di una potenza inaudita, con i suoni più belli che si siano mai sentiti, saccheggiando a piene mani la libreria sonora di Tom Scholz e del suo magico Rockman.
Il peccato è che un disco così bello e fatto così bene poi non sia stato supportato da un valido tour, perché quando la band si è trovata a dover riprodurre dal vivo il fantastico suono del disco, ovviamente si è trovata in evidente difficoltà.
Scorriamo le 12 tracce che ne fanno uno dei vinili più lunghi mai prodotti, totalizzando quasi un’ora di musica:
- WOMAN: Una gran parte di chitarra di Phil Colleen apre questo brano che non è esplosivo come lo era “Rock! Rock! (Til you drop)” su Pyromania, ma che comunque aiuta molto a sintonizzarsi con il suono di questo album, basso synth compreso.
- ROCKET: Un pezzo molto divertente e sperimentale, molto più british del brano di apertura, da questo però molte band americane come per esempio i Motley Crue prenderanno parecchi spunti.
- ANIMAL: E qui si drizzano le orecchie. Pezzo orecchiabilissimo, molto pop e poco heavy metal. Suoni di chitarra di una bellezza assoluta, e la voce di Joe Elliott è capace di acuti pazzeschi e fa il suo lavoro egregiamente. Fu il primo singolo pubblicato estratto in Europa da questo album e aprì la strada a uno stratosferico successo. Per arrivare alla versione definitiva del brano sono occorsi quasi tre anni di lavoro!!! Ma l’ascolto è sempre una divertentissima esperienza.
- LOVE BITES: La prima del ciclo delle grandi ballate lente che hanno caratterizzato il cammino dei Def Leppard. Grandi suoni di chitarra e una melodia molto accattivante. Un’altra traccia molto americana. Fu il primo singolo dei Def Leppard a raggiungere la prima posizione in America. Un enorme successo.
- POUR SOME SUGAR ON ME: Evidente la citazione dei Queen e di Joan Jett. Il suono della chitarra è potentissimo. La canzone registrata più in fretta del disco, solo due settimane di lavorazione.
- ARMAGEDDON IT: Un altro singolo acchiappafantasmi. La melodia del ritornello è semplicemente meravigliosa. Sembra di sentire Tom Scholz alla chitarra… Intelligente e molto creativo il gioco di parole sull’assonanza “are you gettin’ it? Armageddon it”.
- GODS OF WAR:Parte con un’atmosfera alla Pink Floyd, ma il brano cambia totalmente sapore subito. Ed è un sapore comunque molto british, molto Status Quo, 4/4 pulito. Bei riff di chitarra, per nulla scontati. Anche il cambio di armonia tra strofa, bridge e ritornello non è per nulla scontato. Uno degli episodi più genuini del disco.
- DON’T SHOOT SHOTGUN: Una canzone piuttosto sottovalutata, perché in realtà contiene bellissime parti di chitarra di Phil Colleen.
- RUN RIOT: Un altro pezzo sottovalutato, un po’ pacchiano, ma fatto bene, con una parte di batteria che dimostra quanto se la sappia cavare ora Rick Allen nonostante la menomazione.
- HYSTERIA: Il titolo fa semplicemente riferimento a tutti i problemi attraverso i quali la band è dovuta passare per arrivare a creare questo album. La canzone è stata una dei più grandi successi estratti da questo album, perché è costruita per esserlo. Ruffiana e scontata, ma suona bene, molto bene.
- EXCITABLE: Forse la peggiore canzone dell’album, non è indimenticabile anche se pure in questo caso si era cercata la strada della ruffianeria per vincere.
- LOVE AND AFFECTION: Il compito riesce invece (anche) all’ultima traccia, altra ballata romantica fatta molto bene.
Ricordo quanto mi era piaciuto ai tempi, quanto suonava bene nel mio stereo. Mi piace ancora molto, mi piace anche sentirlo datato nei suoni. Lo rendono vero. Una cosa che forse ha acquisito nel tempo, perché forse ai tempi mi era sembrato un po’ “di plastica”.
E’ stato bello risentirlo.
Alla prossima.
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