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2009 – The resistance – Muse – Helium 3

2009 – The resistance – Muse – Helium 3

Marzo 18, 2015 Diceilsaggio 0 387

theresistancefront

Il suolo albionico è solito sfornare con impressionante frequenza proposte musicali di livello spesso eccezionale.

E’ difficile capire in quale ordine si debba leggere il nesso di causalità tra l’importanza della lingua inglese per il movimento rock e la concentrazione sul suolo britannico di così tante proposte notevoli.

Questa premessa per introdurre la proposta musicale di un terzetto di (ottimi) musicisti attivo da più di venti anni sotto il marchio Muse.

Se avessimo bisogno, per spiegarci, di usare dei termini di paragone (per i lettori della mia età) potremmo dire che i Muse sono a grandi linee quello che ai nostri tempi (come suona strano dire una cosa del genere, perché in realtà questi sono sempre i nostri tempi…) erano gli Ultravox in versione Midge Ure (e anche un po’ gli Ultravox in versione John Foxx).

Sì perché il cantante e chitarrista Matthew Bellamy, a un primo ascolto, potrebbe essere confuso facilmente con Midge Ure, siccome la sua vocalità ricorda tantissimo il cantante e chitarrista degli Ultravox, autore ed esecutore di pezzi storici come “Dancing with tears in my eyes” o “The voice”.

E i Muse sono, 30 anni dopo l’epopea degli Ultravox, coloro che meglio ne hanno preso il posto quanto a sperimentazione tecnologica mista a grande gusto per la bella melodia. Anzi, da bravi discepoli i Muse hanno migliorato l’approccio, dal punto di vista dell’utilizzo al meglio del meglio della tecnologia al passo coi tempi sono decisamente più avanti di quanto non fossero gli Ultravox ai loro tempi. Anche se comunque è la stessa tecnologia a permettere ora cose che 30 anni fa erano pura utopia.

Ma smettiamola con questo parallelo, pur trovandolo azzeccatissimo.

Un certo tipo di critica ha affrontato di petto il successo del trio costituito da Matthew Bellamy (voce, chitarra, pianoforte e programmazioni), Chris Wolstenholme (basso) e Dominic Howard (batteria) dicendo che la loro musica ha riferimenti troppo smaccati a cose già sentite (all’inizio i Nirvana e i Foo Fighters, poi i Radiohead, a volte i Queen, a volte i Depeche Mode… oltre ovviamente agli Ultravox!!!), ho letto spesso recensioni che suonavano un po’ così “chissà chi hanno copiato per questo album”. Diciamo che, a torto o a ragione, in terra inglese sono stati trattati un po’ come Zucchero in Italia.

Oggettivamente il primo riscontro che si possa fare è che sì, un po’ di originalità in più non guasterebbe (e l’album di cui parliamo oggi ne è un chiaro esempio). Ma di fatto la carta vincente del trio di Teignmouth è il suono. Un suono che affonda le proprie radici nell’elettronica, nel progressive migliore, nell’ambiente colto e raffinato della new wave. Perché non stiamo parlando di musica popolare, stiamo parlando di un qualcosa di decisamente raffinato e piuttosto elitario.

Inoltre i loro show sono da sempre (come si usa dire in gergo) iper-prodotti, un misto di immagine, suono, tecnica, impatto scenico e tanto, tantissimo senso del business.

La carriera dei Muse è cominciata fortissimo, dopo una serie di EP che hanno decretato l’interesse verso la band da parte di tante piccole case discografiche il primo ingaggio importante lo hanno con l’interesse della Maverick Records (la compagnia di proprietà di Madonna, chiusa nel 2004) che li proietta nel firmamento mondiale, attraverso alcuni show negli Stati Uniti, dai quali tornano fortificati nei propri intenti. Tornati in Europa varie compagnie maggiori si interessano a loro, ma il loro intento, che viene realizzato in pieno è quello di mantenersi indipendenti dalle major e di stipulare singoli contratti di distribuzione per ogni singola nazione di pubblicazione. Cosa che col tempo realizzano anche costituendo la propria casa discografica, la Helium-3, per la quale esce anche il disco di cui parliamo oggi.

Interamente concepito a casa di Matthew Bellamy (Villa Bellini, dal nome del compositore catanese che vi aveva vissuto, a Moltrasio sul Lago di Como), nelle cui grotte il leader dei Muse ha ricavato un aggiornatissimo studio di registrazione (lo Studio Bellini, visibile nel DVD “The making of The resistance” in allegato all’edizione speciale del cd), l’album è il quinto full length della band e fa da seguito al fortunatissimo album del 2006 “Black holes and revelation”, che ha creato nei fans un’aspettativa incredibile tanto da determinare molto del successo di questo disco.

L’album viene prodotto dalla stessa band e da Paul Reeve, con l’ausilio di Adrian Bushby (Foo Fighters, Placebo, U2, Smashing Pumpkins fra i suoi clienti) che lo ha registrato e di Mark “Spike” Stent (Madonna, U2, Coldplay, Gwen Stefani, Depeche Mode, Beyoncé solo per citare alcuni suoi prodotti) che lo ha mixato. L’ultimo tocco, il mastering, è stato dato da Ted Jensen allo Sterling Sound di New York.

Oltre alla band partecipa al disco l’Edodea Ensemble, il quartetto del primo violino Edoardo De Angelis diretto da Audrey Riley e registrato da Tommaso Colliva. Per il resto è, di fatto, un disco fatto in casa. E che casa…

The resistance, di fatto, è un concept album che fa esplicito riferimento a 1984 di George Orwell. E’ quindi un album fortemente politico, d’altronde Matthew Bellamy non è mai stato un frivolo rocker, il suo schema di riferimento è certamente Thom Yorke e non ha mai nascosto di essere una persona fortemente impegnata e con una visione del mondo molto definita e chiara. Ma oltre al dato politico è molto importante per l’album anche la tematica dell’amore, quello tra Winston e Julia (i protagonisti, appunto, di 1984).

Alcune iniziative di marketing molto intelligenti sono legate a questo album, come il Progetto Eurasia, una caccia al tesoro digitale mondiale che ha portato i fan della band a ottenere il singolo “United States of Eurasia (+ Collateral damage)” in anteprima.

Ma ascoltiamo le 11 tracce dell’album:

  1. UPRISING: La partenza dell’album è nel migliore stile dei Depeche Mode (facendo un po’ il verso a Marilyn Manson), anche se non c’è il vocione di Dave Gahan a farla da padrone. Bensì la voce tenorile di Bellamy che solo a tratti esce dalla scatola per manifestarsi bella come in realtà merita di essere definita. Pur se tremendamente autocompiaciuta.
  2. RESISTANCE: Qui le suggestioni invece sono inizialmente legate agli U2 (il periodo berlinese, per essere precisi). Bello il pianoforte con un suono molto “dance” che ricorda tantissimo Robert Miles. Il ritornello inaugura invece l’angolo dedicato alla citazione dei Queen, che troverà ancora spazio nello scorrere delle tracce.
  3. UNDISCLOSED DESIRE: Tornano le suggestioni dei Depeche Mode ma la band mischia le carte perché qui la chiave di lettura è molto più rhythm and blues, se volessi osare l’inosabile direi che qualcosa assomiglia a Beyoncé Knowles con cui peraltro il fonico Mark Stent ha collaborato a lungo.
  4. UNITED STATES OF EURASIA (+ COLLATERAL DAMAGE): Ed eccola la citazione diretta di “Bohemian rhapsody”, e forse anche di “Innuendo”. Troppo spudorata, questa volta. Sembra di sentire addirittura Brian May (che in realtà, vi giuro, in studio non c’è mai stato). Trionfo delle citazioni il Notturno op.9 N°2 che chiude il pezzo.
  5. GUIDING LIGHT: E qui si svela l’amore per i suoni sintetici che tanto hanno fatto la storia degli Ultravox. La canzone richiama abbastanza direttamente la “Vienna” che tanto è rimasta nei nostri cuori. Ancora l’anima di Brian May nell’assolo di chitarra.
  6. UNNATURAL SELECTION: Il pezzo più “tamarro” dell’album. Forse un po’ troppo lungo, ma sicuramente uno di quei riempipista in grado di scatenare il pogo del pubblico sotto al palco. Forse la cosa più crossover dell’album, per certi versi un po’ “System of a dawn”. Peccato che in questo caso la voce di Bellamy (pulitina e debole) non c’entri nulla con il resto. Molto bello il rallentamento centrale del brano.
  7. MK ULTRA: Forse fin troppo elettronica e troppo piena di tutto per risultare di facile ascolto. Presumo però non fosse il facile ascolto quello cercato da un’opera così concettuosa.
  8. I BELONG TO YOU: L’album a questo punto si toglie il peso del volere essere a tutti i costi “epico” e questo brano risulta uno dei più riusciti e scanzonati del disco intero. La canzone contiene il riferimento a Samson et Dalila di Camille Saint-Saens. Segno dell’amore di Bellamy per la musica colta.
  9. EXOGENESIS 1 (OUVERTURE): La parte migliore di questa ambiziosa operazione che è questa suite finale. Bella orchestrazione e bella scrittura. La voce non c’entrava nulla.
  10. EXOGENESIS 2 (CROSS-POLLINATION): Appena sussurrata, poi accelera improvvisamente (l’esperimento di laboratorio a cui fa riferimento il titolo).
  11. EXOGENESIS 3 (REDEMPTION): Evidente il riferimento a Schubert. La parte che riesce a dare un senso di sollievo a questa poco riuscita ampollosa operazione.

“The resistance” è un album che si può definire bello, ma è troppo incostante e troppo auto-compiacente, tanto da risultare un tantino pesante da digerire.

Così pieno di tanti gusti particolari, l’elettronica, i riferimenti al rock dei primi anni ’90, le ballate per pianoforte, la musica sinfonica. Tecnicamente è riuscito molto bene, e gli oltre 5 milioni di copie vendute nel mondo parlano da soli a dare l’idea dell’accoglimento di un’opera del genere presso il pubblico.

Criticamente posso solo mettermi in coda a chi vede però a questo punto un’involuzione nel progetto artistico della band, forse associata a una discreta crisi compositiva che li ha portati a bagnare un po’ troppo la loro musica in un mare troppo ampio di esperienze già sentite. Senza coerenza.

Alla prossima.

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