Nei primi anni ’80 a Bologna un ragazzo faceva strage di cuori di ragazzine. Faceva il commesso in un negozio di scarpe ma sapeva suonare il pianoforte e la chitarra, e soprattutto, sapeva scrivere canzoni.
Aveva un senso della poesia fuori dal comune e, per noi maschietti invidiosi, aveva un difetto imperdonabile: era bello da fare schifo.
Ricordiamoci che nei primi anni ’80 la civiltà dell’immagine e basta era al top della sua espansione. Per noi maschietti l’invidia la faceva da padrona a maggior ragione per il fatto che quel ragazzo invece non era solo immagine ma anche sostanza. Che rabbia che mi fa anche oggi se guardo indietro di una trentina di anni, anche se mi viene da sorridere alle scanzonate infatuazioni da quindicenne annebbiate dal fatto che la predestinata di turno non avesse occhi se non per un qualche artista, questo nella fattispecie.
Questo ragazzo in grado di cambiare lo stereotipo del bello in un momento così importante è nato a Bologna lo stesso giorno della scoperta dell’America, ma 470 anni dopo e si chiama Luca Carboni.
Nei primi anni ’80 ha già un notevole talento compositivo e frequenta gli ambienti giusti. Va spesso alla “Trattoria da Vito” in Via Musolesi a Bologna e una sera vi lascia un suo scritto autografato (è abbastanza lunga la storia degli scritti reperiti da Vito e usati per canzoni da tanti artisti in maniera più o meno impropria, alcuni screzi sono degenerati anche in liti da coltelli…). Il testo viene letto da Gaetano Curreri che si fa dare immediatamente il numero di quell’autore e lo chiama proponendogli di scrivere testi per gli Stadio.
E’ cosi, da “Navigando controvento” che esce sull’album di esordio della band bolognese, comincia la vera carriera di Luca Carboni (che però aveva già alle spalle un 45 giri come chitarrista dei Teobaldi Rock, una cosa piuttosto introvabile e da ascoltare giusto per curiosità).
Nel 1987, dopo un paio di album per farsi conoscere (“…e intanto Dustin Hoffmann non sbaglia un film” del 1984 e “Forever” del 1985) e un anno per ricaricare le pile, scrivere e arrangiare nuovo materiale, Luca Carboni sforna un prodotto fatto decisamente molto bene e che lo porta al successo da subito e senza il minimo dubbio.
La credibilità Luca Carboni se la è guadagnata già da tempo, non ha sbagliato un pezzo che sia uno nei primi due album, il materiale che ha scritto per gli Stadio ha portato al successo pure loro (“Allo stadio” e “Vorrei” ai tempi le abbiamo cantate tuttituttissimi…).
E’ quindi ora che anche Luca da solo faccia il salto di qualità che merita.
Riunisce il team dei primi due album e si concentra al massimo per scrivere alcune tracce vincenti. E il team è quello del clan di Dalla (che dall’inizio ha supportato la carriera di Carboni ovviamente comparendo come Domenico Sputo): la produzione esecutiva di Renzo Cremonini, quella artistica di Roberto Costa (che sul disco suona anche il basso e le tastiere, oltre a registrarlo e mixarlo) e Gaetano Curreri, la batteria di Giovanni Pezzoli e la chitarra di Bruno Mariani.
L’album viene registrato sul Sony PCM-3324 nella quiete medievale e rassicurante degli studi Fonoprint di Bologna, nella centralissima Via Bocca di Lupo,6 (gli studi che hanno visto nascere tutta la musica bolognese che conta, da Guccini, a Vasco, a Dalla, a Carboni, appunto…). E l’album risente fortissimo dell’ambiente in cui viene concepito.
Già di suo Carboni è un personaggio timido, riservato e silenzioso, la sua voce è malinconica e allo stesso tempo rassicurante. La classica persona che sembra non voler dare fastidio. Per questo piace, anche al sottoscritto, nonostante quell’amorevole odio di cui sopra.
L’album che porta semplicemente il suo nome e cognome esce a Settembre del 1987 (ricordo che io lo comprai a Natale) ed è sicuramente l’album della sua maturità. Ed è sicuramente un album maturo, più maturo dei precedenti che comunque nonostante la giovane età ci presentavano un autore ben più grande dei suoi anni.
E questo album ha un successo clamoroso, se pensiamo che vende 700.000 copie. Sette volte le vendite dei precedenti due album messi insieme.
Questo grande successo è trascinato dal fatto che all’interno di questo album ci sono canzoni che tutti quanti abbiamo un po’ fatto nostre in un periodo della nostra età in cui certe cose avevamo una voglia matta di dirle e profumavano di “proibito”. Quell’età in cui esplodono una serie di conflitti dentro che vorresti buttare fuori e non sai nemmeno da che parte incominciare, solitamente corrisponde all’età in cui i nostri conflitti interiori li facciamo urlare dalla voce del primo cantante che riesce a dire le cose come le vorremmo dire noi.
Nel caso del sottoscritto è successo con questo album. Meraviglioso.
Ma vediamole queste nove tracce che portano la firma di Luca sia per quanto riguarda il testo che per quanto riguarda la musica a parte la traccia 8, la cui musica è di Nicola Lenzi:
- SILVIA LO SAI: Credo che in assoluto sia la canzone più riuscita di Luca Carboni. Anche se il protagonista si chiama Luca non c’è nessuna autobiografia, credo che a ognuno piaccia il proprio nome, sempre che si sia riusciti a abituarsi al suono che fa pronunciato dagli altri. Un amore adolescenziale dilaniato dalla timidezza di lui e dalla droga che non si riesce a sconfiggere. Una serie di immagini che sono state patrimonio della vita più o meno di chiunque hanno decretato il successo di questo brano meraviglioso.
- CARO GESU’: Una preghiera, un’invocazione. Più laica che religiosa. Più blasfema che sacra. Anche qui l’evocatività delle immagini fa sì che in questa canzone ci siamo stati un po’ tutti. Altro bellissimo pezzo.
- LUNGOMARE: La scuola è quella degli Stadio e di Dalla, qui si sente in maniera grandiosa. Canzone dolcissima. Il pescatore Giorgio e la sua visione del mondo da lontano. Un mondo in cui vorrebbe ancora emozionarsi (si può morire per certe carezze e certe cose non dette e quello che contano sono gli imbarazzi e le timidezze), ma non sa più farlo (ormai si orienta con le insegne dei bar più che con le stelle).
- VOGLIA DI VIVERE: Uno dei pezzi meno ispirati dell’album. Lo immagino come un brano dedicato al proprio figlio. Bellissimo e ispiratissimo l’assolo di chitarra di Bruno Mariani che fa un po’ il verso a Ricky Portera.
- GLI AUTOBUS DI NOTTE: Altro brano non particolarmente ispirato, nonostante si senta chiaramente l’eco di Dalla nella scrittura del brano (oltre a fare i cori, sul ritornello). E’ molto particolare la malinconia della vecchiaia descritta attraverso i vecchi veicoli usati nei turni di notte dove possono fare meno danni possibile.
- FARFALLINA: La solitudine come nessuno mai la aveva narrata. Un brano meraviglioso e ispiratissimo. Arriva dritto al cuore come un grido disperato. Bellissima. Anche questa arricchita da un bellissimo assolo di chitarra di Bruno Mariani. La particolarità di questa canzone è che riesce a rendere in ogni sfumatura l’inquietudine della solitudine, anche soprattutto in quella sensazione che dà di “stare per partire” e invece non parte mai.
- CONTINUATE COSI’: Ricco di citazioni e di suggestioni musicali (soprattutto “Doot doot” dei Freurs, uno dei brani più particolari degli ultimi 40 anni) questo episodio non principale dell’album. Il dramma dell’incomunicabilità quando invece si vorrebbe essere una sorta di San Francesco che parla con tutti, animali compresi. Anche qui è presente Lucio Dalla (non accreditato) ai cori.
- VIENI A VIVERE CON ME: Bellissima e trascinante ballata di cui Luca Carboni è autore solo della parte testuale. Un’altra di quelle canzoni che ci siamo prodigati a canticchiare più volte tutti quanti.
- CHICCHI DI GRANO: Sull’aria del vecchio successo di Eric Clapton “Wonderful tonight” il ricordo di una storia d’amore morta e sepolta, ma che spesso torna a fare capolino come un piacevole ricordo di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Nonostante Luca Carboni passi spesso per triste e scuro questo album invece presenta molti lati piacevolmente allegri. Anche i ricordi e la nostalgia, per non dire la malinconia sono spesso dei sentimenti con cui accompagnarsi piacevolmente.
L’importante è saperli sempre gestire con la giusta dose di equilibrio.
Un bellissimo album, anche a distanza di 28 anni. L’unica cosa datata che vi si trova sono i suoni campionati che ai tempi andavano molto di moda, ma ora… beh, i tempi sono cambiati.
Alla prossima.
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