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1983 – Let’s dance – David Bowie – EMI

1983 – Let’s dance – David Bowie – EMI

Marzo 11, 2015 Diceilsaggio 0 1170

let'sdancefront

Con estrema attenzione, rispetto e pudore mi appresto a parlare di uno di quegli artisti che al di là delle mode, al di là degli schieramenti ideologico-musicali, al di là dei gusti sia difficile da catalogare, ammesso e non concesso che sia necessario dare una categoria certa a ogni singolo elemento.

David Bowie suscita in me un profondo rispetto, non sono mai riuscito a capire se sia un rispetto interamente dovuto al fatto che stiamo comunque parlando di un artista eccelso ed eccezionale oppure sia una sorta di timore come quello che si ha verso qualunque cosa possa, in un certo qual modo, diventare a un certo punto pericolosa.

Perché il Duca Bianco, David Robert Jones, universalmente noto come David Bowie, londinese classe 1947 è uno di quegli artisti che con una classe superiore ha attraversato trasversalmente ogni sorta di genere, ogni sorta di tendenza, ogni sorta di espressione, ogni sorta di spettacolo rimanendo etereo eppure molto presente a tutto quello che faceva.

Dal punk al funk, dal soul alla disco music, dalla new wave al pop o all’hard rock.

Ed è uno di quei personaggi che nonostante ripetute pulizie dell’immagine operate più e più volte non riescono a togliersi di dosso quell’aura “maledetta”, estremamente attraente, ma estremamente scostante allo stesso tempo.

All’inizio degli anni ’80 sono finiti gli eccessi per il Duca Bianco, con una permanenza di tre anni a Berlino è riuscito a ripulirsi da una notevole dipendenza da cocaina (che era diventata paradossale durante il periodo in cui aveva risieduto in Svizzera) che lo aveva messo in pericolo di vita. Ma Brian Eno riesce a recuperarlo producendo la sua “trilogia berlinese”, anche se dei tre album che compongono la trilogia, in realtà solo “Heroes” è stato realizzato a Berlino (ma questa è, ovviamente, un’altra storia).

Gli anni ’80 si sono aperti con il notevole successo di “Scary Monsters (and Super Creeps)”, un album che ha venduto molto bene e sono proseguiti con il rimarcabile successo del film “Christiane F. – Noi, ragazzi dello zoo di Berlino” alla cui realizzazione Bowie partecipa sia dal punto di vista musicale fornendo materiale per la colonna sonora che da quello della recitazione (in realtà interpretando se stesso sul palco).

E’ un periodo tranquillo e felice per lui, che pianifica invece un’ulteriore inversione di tendenza. Non vuole proseguire un filone, ma aprire un nuovo capitolo con l’album di cui parliamo oggi, e cioè “Let’s dance”, l’album che gli garantisce l’apertura di un periodo di enorme successo tale da farlo arrivare a essere negli anni 2000 il quarto musicista più ricco del mondo (dopo Madonna, Paul McCartney e Bruce Springsteen).

Per questo lavoro David Bowie che in un primo momento aveva pensato di affidarsi, come i prodotti precedenti, alla produzione di Tony Visconti, ribalta il tavolo all’ultimo momento e si avvale della produzione di Nile Rodgers degli Chic (lo abbiamo già incontrato parlando di Duran Duran, in una produzione cronologicamente un po’ posteriore), il grande mago del funk dance. E Bowie opera questa scelta per una precisa volontà di produrre alcuni singoli di grande successo. Questa operazione, nonostante le scuse di Bowie verso Visconti che si era tenuto libero da altri impegni, rovina il rapporto tra i due che non lavoreranno più insieme fino all’inizio degli anni 2000.

L’album è anche il primo di David Bowie con la nuova etichetta EMI, con cui ha appena siglato un contratto da quasi 20 milioni di dollari. E, avendo la precisa intenzione di fare un album di grande successo (ma non si immagina ancora quanto grande…) per la prima volta nella sua carriera entra in studio con i pezzi già perfettamente provinati, solo da far suonare e registrare alla band. Per questo motivo questo album passerà alla storia come uno dei più velocemente registrati, di sicuro passerà alla storia come l’album che ha venduto di più tra quelli registrati nel minor tempo possibile. E i numeri parlano chiaro, 17 giorni tra l’entrata in studio e la fine dei lavori e quasi dieci milioni di copie vendute!!!

Il personale di studio scelto dai due produttori (David Bowie e Nile Rodgers) vede il batterista Tony Thompson affrontare i pezzi più “pesanti” (abbiamo già detto altrove che si tratta di un musicista con la manina pesante), mentre Omar Hakim suona i brani più leggeri. Al basso c’è Carmine Rojas tranne “Without you” che invece viene suonata da Bernard Edwards. Della chitarra ritmica (ovviamente) si incarica lo stesso Nile Rodgers, mentre gli assoli sono affidati nientepopodimeno che a Stevie Ray Vaughan di cui Bowie si è letteralmente innamorato (musicalmente) da tempo. Rob Sabino suona le tastiere. La sezione fiati (si tratta di una produzione di Nile Rodgers, i fiati sono fondamentali!!!) è composta da Mac Gollehon, Robert Aaron, Lenny Pickett, Stan Harrison e Steve Elson. Sammy Figueroa suona le percussioni, Frank e George Simms e David Spinner sono i coristi di supporto dell’intero lavoro.

Per la prima volta in carriera inoltre David Bowie non suona alcuno strumento in studio limitandosi a dire che “si tratta di un album di un cantante”.

L’album viene registrato ai celeberrimi Power Station di New York, al banco c’è il mitico Bob Clearmountain che di lì a poco porterà al grande successo Brian Adams, ma anche gli stessi Bowie e Rodgers mettono le mani su slider e potenziometri vari. Clearmountain effettuerà anche il mix, mentre il master sarà fatto alla Masterdisk da Bob Ludwig, uno che abbiamo già incontrato più volte e che è una vera e propria istituzione per quanto riguarda il mastering.

All’uscita il disco fu un successo clamoroso ovunque nel mondo, e così anche il tour mondiale che ne seguì per sei mesi, il che portò David Bowie a riconsiderare i suoi progetti. All’inizio aveva intenzione di fare solo un album differente da quelli che sono i suoi canoni, ma date le buone (ottime… ECCEZIONALI) vendite si decise a fare almeno altri due album su questa falsariga, che però non ebbero lo stesso riscontro.

Veniamo quindi alle 8 tracce di questo disco:

  1. MODERN LOVE: La chitarra muta di Nile Rodgers e la potentissima batteria di Tony Thompson aprono questo brano che è un vero e proprio inno. Sarà il terzo singolo a venire estratto dall’album. Bowie ha sempre detto di essersi ispirato a Little Richard, ma evidenti sono gli echi di Elton John in questa canzone sbarazzina e decisamente riuscita, a cominciare dal pianoforte di Rob Sabino suonato esattamente come lo suonerebbe Sir Reginald Dwight.
  2. CHINA GIRL: Il brano risale al periodo in cui Bowie viveva a Berlino con Iggy Pop e infatti porta la firma di entrambe le star. Fu infatti Iggy Pop a registrarla per primo, nel 1977. Curiosa la casualità di questa canzone. Quando Nile Rodgers diede un’occhiata alla lista dei titoli delle canzoni del (futuro) disco si mise a suonare il riff di chitarra in stile cinese esattamente come è rimasto tuttora nel pezzo. Bellissima la citazione della parte di basso di “Under my thumb” dei Rolling Stones. Per il resto la canzone è un esempio da manuale di come si suona un singolo di successo. Il video fece scalpore e scandalo, ai tempi. Bei tempi. Notevoli anche i due assoli di chitarra in pieno stile Hendrix di Stevie Ray Vaughan.
  3. LET’S DANCE: Inizia citando i Beatles, ma si trasforma rapidissimamente in un pezzo in cui si sente da lontanissimo la mano di Nile Rodgers. L’unica cosa che si discosta dallo stile del producer newyorkese è la presenza degli assoli di chitarra di Stevie Ray Vaughan. Fu il primo singolo a essere estratto dall’album e uno dei singoli di David Bowie che vendettero di più in senso assoluto.
  4. WITHOUT YOU: Ritorna lo stile del vecchio David Bowie. Forse la canzone più datata dell’intero lavoro. Era bellissima la copertina del singolo, perché disegnata da Keith Haring.
  5. RICOCHET: Una canzone che richiama per intero lo stile dei Police che tanto stava avendo successo ai tempi, pur senza discostarsi troppo dalle tracce su cui si snoda il lavoro di Bowie.
  6. CRIMINAL WORLD: Una cover del brano dei Metro del 1977 su cui svetta come una bandiera la chitarra del mai troppo compianto Stevie Ray Vaughan. Immenso.
  7. CAT PEOPLE: Per il brano che è forse la batteria di Tony Thompson è un po’ eccessiva… In tutta onestà sarebbe anche un bel pezzo, peccato per il suono, datato e rovinato da troppi, veramente troppi sintetizzatori.
  8. SHAKE IT: Torna il funky per l’ultima traccia dell’album, in pieno stile Chic.

Appare chiaro come al di là dei singoli in questo lavoro di enorme successo, inserito da Rolling Stone al venticinquesimo posto della classifica dei migliori 500 album di sempre poco altro ha resistito all’ingiuria degli anni. Gli altri cinque pezzi suonano decisamente datati e non rendono giustizia alla bellezza dell’intero lavoro.

Alla prossima.

let'sdanceback

1983Bernard EdwardsBob ClearmountainBob LudwigBrian EnoCarmine RojasDavid BowieDavid SpinnerFrank SimmsGeorge SimmsLenny PickettMac GollehonNile RodgersOmar HakimRob SabinoRobert AaronSammy FigueroaStan HarrisonSteve ElsonStevie Ray VaughanTony ThompsonTony Visconti
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