Ci sono dischi che a distanza di quasi trent’anni dalla loro uscita mi emozionano ancora tantissimo: di sicuro perché sono di altissima qualità la tecnica, la composizione e la produzione, ma anche perché hanno il potere di riportarmi in un solo secondo a un periodo in cui la musica era sicuramente padrona della mia vita e avevo bisogno di quello e poco altro.
E’ il caso del disco che andiamo a raccontare oggi che è il decimo album in studio per quanto riguarda uno dei più influenti chitarristi di tutti i tempi, uno che ha insegnato parecchio a tutti coloro che abbiano mai preso in mano una sei-corde, uno che è al secondo posto della classifica dei cento migliori chitarristi di tutti i tempi (dietro al solo Jimi Hendrix) l’unico, l’incredibile, l’inimitabile “Slowhand”, Eric Clapton.
Ci sarebbero da dire su di lui un sacco di cose in questa che è la prima volta che lo incontriamo direttamente in questo nostro percorso.
Ci limiteremo però a specificare che il periodo in cui esce “August”, l’album di cui parliamo oggi è per lui un periodo molto felice. Qualcuno, tra quelli che pensano che sia buona arte solo ed unicamente quella che viene fuori dalla sofferenza e dai periodi negativi delle persone, dice che in questo periodo il massimo interesse di Eric Clapton sia quello di presenziare a feste vestito in un completo di Armani piuttosto che scrivere del buon blues. Rimane però indiscutibile il fatto che la sua vita è in una fase positiva. Vive con Lory Del Santo e da lei ha un adorato figlio (Conor, che perirà tragicamente a soli 4 anni cadendo dal 53esimo piano di un grattacielo di New York).
Comunque siamo nel 1986 e l’intenzione di Clapton è quella di fare un grande successo e dare alla propria musica un taglio contemporaneo e commerciale.
Nel cassetto ha una canzone che ha scritto con il leader dei The Band, il nativo americano Robbie Robertson per la colonna sonora di un film con l’allora astro nascente del cinema Tom Cruise.
Ma gli manca il resto dell’album…
Per questo chiama al suo fianco un team di musicisti di sicuro appeal commerciale composto da Phil Collins (alla batteria oltre che agli arrangiamenti e alla produzione), Nathan East al basso e Greg Phillinganes al pianoforte e alle tastiere.
Con questa formazione a quartetto Eric Clapton (col nome di Eric Clapton & Friends) girerà l’intero pianeta per quasi tre anni (anche se nel 1987 Phil Collins, a causa dei suoi impegni con i Genesis per il tour di “Invisible touch” lascerà il posto a Steve Ferrone).
Alla lavorazione dell’album in studio partecipa anche Tina Turner (protagonista di un fantastico duetto), una sezione di fiati (fortemente voluta dal produttore Phil Collins, i fiati sono parte integrante del suo marchio di fabbrica) composta da Dave Bargeron (trombone), Jon Faddis (tromba) e dai fratelli Brecker (il compianto Michael e il maggiore Randy rispettivamente al sax e alla tromba) e i cori di Tessa Niles, Katie Kissoon e Magic Moreno (che è anche l’ingegnere del suono dell’intero album).
L’album viene concepito e registrato a Hollywood nella magia dell’Ocean Way Studio (uno degli studi più mitici dell’intera storia della musica), al numero 6000 W del Sunset Boulevard (ora si chiama EastWest Studio).
Come era prevedibile la critica ha stroncato l’album. Il pubblico (che di solito è quello che ha ragione visto che compra i dischi e cioè immette l’unico denaro fresco e cioè quello che conta nelle casse di chi la musica la fa) invece ha decretato il successo di un album che a tutt’oggi risulta ancora il più venduto di sempre della più che cinquantennale carriera del bluesman di Ripley.
Per cui quando si parla di un album come “August” ci vuole del rispetto, il rispetto che è d’obbligo quando si parla di qualcosa che, anche se le logiche del commercio musicale ci sono ignote e le reputiamo alla stregua del pattume di casa, vende.
Nella versione su cd le tracce sono 11:
- IT’S IN THE WAY THAT YOU USE IT: E’ l’unica canzone che non c’entra nulla con l’album, ha un suono completamente diverso (è stata prodotta dallo stesso Clapton, è stata concepita in un momento diverso, ed è stata anche prodotta da un team diverso. E’ la colonna sonora del film “Il colore dei soldi” di cui si parlava poc’anzi. Un riff di chitarra molto ruffiano, doppiato dai synth di Gary Brooker e Richard Cottle per un singolo molto radiofonico che ai tempi mi piacque veramente molto e che vendette piuttosto bene.
- RUN: Il secondo brano dell’album è un bel funky che è stato scritto da Lamont Dozier e riprende il tema di “Sussudio” di Phil Collins. Da queste prime due tracce si nota però subito come la chitarra di Clapton, per una precisa scelta programmatica non sia al centro della questione, ma pronta a sferrare l’attacco micidiale.
- TEARING US APART: Clapton e Phillinganes scrivono a quattro mani questo brano in cui Eric duetta con Tina Turner. E’ il secondo singolo estratto dall’album e tratta di una questione spinosa e cioè i “falsi amici” che poco tempo prima avevano portato alla separazione tra Clapton e Patty Boyd.
- BAD INFLUENCE: La cover del singolo di Robert Cray è una sorta di manuale su come prendere un gran pezzo blues e rovinarlo facendone uno shuffle insipido che tenta di fare il verso a Stevie Wonder. Che Clapton fosse ai tempi affascinatissimo dal modo di suonare del bluesman di Columbus e che lo ritenesse una sorta di figlioccio è cosa certa, ma da lì a fare questo scempio c’è una gran bella differenza. Triste episodio.
- WALK AWAY: La canzone ha un bel tema ed un ancor più bel ritornello, ma risente degli anni che ha, soprattutto nelle scelte dell’arrangiamento (quell’arpeggiatore di piano elettronico non si può ascoltare!!!).
- HUNG UP ON YOUR LOVE: Ancora a firma Dozier e ancora qualcosa di funkeggiante. Non indimenticabile, anche perché lo stesso giro di accordi verrà ripreso più avanti in questo album…
- TAKE A CHANCE: Scritta a sei mani con East e Phillinganes è una canzone che mette molta allegria in cui si sente la mano dei due sempre sorridenti musicisti di colore.
- HOLD ON: Bellissimo il ritmo di batteria che regge questo brano che starebbe bene nel repertorio di Collins (che infatti ne è co-autore, e si sente). Fa bella mostra di sé la sezione cori che sostiene il ritornello.
- MISS YOU: Anche questa porta la firma di Clapton e del fido tastierista di Detroit. E finalmente un brano in cui si sente piuttosto bene che Eric Clapton è un chitarrista e non un interprete di singoli da successo.
- HOLY MOTHER: In assoluto la canzone più bella del disco, molto ispirata. Dedicata al pianista e tastierista di “The Band”, Richard Manuel, morto suicida dopo aver perso per l’ennesima volta una lunga battaglia contro la dipendenza da alcool e cocaina. Nel ricordo dell’amico Eric Clapton si trova faccia a faccia per la prima volta anche con il proprio passato di dipendenze.
- BEHIND THE MASK: Un’altra cover con una storia abbastanza lunga. Un giro di tastiere piuttosto interessante sostiene il brano che era stato scritto nel 1978 da Ryuichi Sakamoto per uno spot pubblicitario, ma poi Chris Mosdell nel 1979 vi aggiunse il testo in inglese. Dopo che nel 1980 Michael Jackson scrisse una strofa aggiuntiva è stato portato al successo da Jackson stesso, poi Greg Phillinganes lo ha inserito nel suo primo album solista. Eric Clapton la incide convinto che sia un grande successo, così non sarà. Peraltro per tutto il tour sarà comunque Greg a cantarla dal vivo.
- GRAND ILLUSION: L’arrangiamento risente troppo del trattamento Phil Collins che tenta di farla assomigliare a due dei grandi successi avuti in quel periodo: “In the air tonight” e “Mama” coi Genesis. Questo brano è presente nella sola versione CD dell’album e non vi aggiunge nulla, sostanzialmente.
Al di là del fatto che è ovvio che i prodotti commerciali con il passare del tempo perdano lo smalto di una volta è sempre un piacere riascoltare album di grande successo, soprattutto un lavoro come questo che al suo interno presenta una serie di cose che a me piacciono tantissimo: la chitarra di Clapton, gli arrangiamenti e soprattutto la batteria di Collins, le tastiere di Phillinganes ed il basso di East…
Come potrebbe non piacermi?
Alla prossima.
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