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1989 – Il vento di Elora – Eugenio Finardi – Fonit Cetra

1989 – Il vento di Elora – Eugenio Finardi – Fonit Cetra

Gennaio 19, 2015 Diceilsaggio 0 1574

elorafront

Siamo nel 1989, alla fine anni ’80, è la chiusura di un periodo d’oro per la musica italiana, dieci anni di dischi fatti molto bene e di grandissimo successo. Dieci anni in cui moltissimi autori italiani hanno varcato agevolmente la soglia del milione di copie vendute. E’ il caso di Zucchero con “Oro, incenso e birra” e con “Blue’s”. E’ il caso di Claudio Baglioni con “Strada facendo” e con “La vita è adesso”, è il caso anche di Vasco Rossi, forse a livello di numeri il minore, ma comunque milionario con “Bollicine”, con il live “Va bene, va bene così” e poi con “C’è chi dice no”.

Sono stati anche gli anni di un buon successo commerciale per Eugenio Finardi, cantautore talentuoso quanto difficile, così dotato di una musicalità sopraffina come di una naturale tendenza a non voler fare parlare di sé, ma a parlare comunque in prima persona di sentimenti molto personali. Personaggio da prendere con le molle sempre e comunque, in quanto dotato di un caratterino mica troppo malleabile.

Nel 1982 l’Eugenio (il milanese è d’obbligo parlando di lui, così radicato nella sua città, pur dotato di doppio passaporto italo-americano) se ne esce con un album come “Dal blu” che conteneva la splendida “Le ragazze di Osaka” e “Amore diverso”, nel 1985 con “Colpi di fulmine” che conteneva la dolcissima “Vorrei svegliarti” oltre alla stessa “Colpi di fulmine” ed “Arianna”. Nel 1987 arriva “Dolce Italia” seguito nel 1989 da “Il vento di Elora” l’album di cui ci accingiamo a parlare ora.

Io ho sempre trovato Finardi molto vicino al mio modo di pensare e sentire la musica, come se questa fosse un bisogno molto fisico di esternare il “blues” della vita, la frustrazione e la ricerca senza limiti di campo della felicità (non a caso Finardi, come dicevamo poco fa, ha il doppio passaporto italiano e americano e la ricerca della felicità è il terzo diritto sancito dalla costituzione americana dopo la vita e la libertà). Ho sempre ritenuto invece che il grosso limite (se così si può dire) di Finardi sia invece il mettere troppo in piazza i fatti propri, il non essere cioè “universale”, ma molto particolare.

La fine degli anni ’80 coincide per Finardi con un momento di crisi personale non indifferente.

“Il vento di Elora” è la fotografia di un periodo molto problematico e di un percorso di rinascita fisica e morale. Elora è una cittadina di 4000 anime a 100 km da Toronto, Ontario, Canada, sede di un centro di riabilitazione (il Portage Ontario) dove Eugenio si rifugia per stare lontano da Milano e dalle tentazioni di cui è capace e soprattutto riprendere contatto con la propria vera vita.

  1. IL VENTO DI ELORA – Si apre l’album con un pezzo dal tiro molto “potente”, una cosa a cui Finardi ci ha abituato nel corso degli anni. Rock schietto con il basso di Cico Cicognani e la batteria di Walter Calloni che la fanno da padroni, introdotti dal pianoforte di Vittorio Cosma ed il violino di Lucio Fabbri a sottolineare il senso di solitudine di essere a migliaia di chilometri da casa e forse non sapere neanche più se una casa ce l’hai.
  2. LA MIA VITA SENZA TE – Duplice interpretazione possibile: si può intendere che questo bellissimo ed intenso blues della solitudine possa essere dedicato alla compagna lasciata lontana per potersi ricostruire da soli, ma è altresì vero che, dato il posto in cui Eugenio si trova sia un’altra la compagna di tante avventure, di cui si sta cercando assolutamente ed a tutti i costi di fare a meno. Meravigliosa la chitarra slide suonata da Stefano De Carli.
  3. L’ALBERO DELLE SPADE – “Come navi fantasma senza vento nelle vele vagano tra noi su rotte parallele” è la frase cardine. L’eroina ha fatto una strage negli anni ’70 e ’80 e sta ancora mietendo il suo triste raccolto. Ci sono, non possiamo fare a meno di vederli, persone che hanno fatto lo sbaglio o hanno avuto la debolezza di cascarci come lo stesso Eugenio. Dalle dipendenze si esce. E’ necessario rinascere anche urlando, stando male, attraverso il dolore, altrimenti è la fine, e fare finta di non vederli è come condannarli a morte.
  4. IL TRENO – Musica sottile, come un trenino locale che va piano, ma inesorabile. E’ il treno della vita, che mi riporterà a casa da te e qualora tu non ci fossi io non posso farci niente, questa è la mia vita, tornerò di sicuro, non so quando, non so come, so di averti fatto del male, ma questa è la vita. E’ una delle canzoni che Eugenio ama di più, ma che meno è stata capita dal pubblico. Come al solito i figli a cui i genitori dedicano più attenzione sono quelli più problematici. L’assolo di Demo Morselli al trombino barocco è una bellissima gemma.
  5. IL FIUME – Un 4/4 ricco di virtuosismi da parte di Walter Calloni apre questo brano di protesta contro chi vuole a tutti i costi fermare il tempo e fare in modo che tutte le conquiste e le libertà dell’uomo vengano cancellate per il benessere di pochi potenti. Il discorso è attualissimo… Il suono della chitarra di Fabrizio Consoli è potentissimo, una potenza che però evolve nella dolcezza del ritornello in cui Eugenio davvero fa un capolavoro di armonia, di una bellezza imbarazzante. La soluzione, come altre volte Finardi dirà di qui in avanti, è la ricerca di un’acqua in cui immergersi metaforicamente in un bagno purificatore in grado di toglierci di dosso tutta questa pesante sovrastruttura.
  6. BISOGNO DI TE – Da lontano il tempo passa e cominci a mancarmi, mi sto rendendo conto che sei il motivo per cui sono al mondo e soprattutto che ti amo. E’ bellissimo potere pensare a ciò che ti sta passando per la mente cercando una comunicazione che vada al di là di quella verbale e fisica. Un brano non indimenticabile e leggero leggero, infatti non è presente nella versione su vinile, ma solo in quella su cd.
  7. VIL COYOTE – Il singolo dell’album, per radio fece strage, pezzo simpatico e facile, ma inserito nel contesto del percorso di cui parla l’intero album questo è il momento della presa di coscienza, il rendersi conto che altri sono i duri, i cattivi, i forti, i fortunati. A noi persone normali non resta altro che essere come Vil Coyote, noi ci proveremo sempre e non ci abbatteranno mai nonostante tutte le momentanee sconfitte che ci verranno inflitte. E non venitemi a dire che non avete mai almeno una volta canticchiato o fischiettato questo motivetto.
  8. FAVOLA – Il seguito ideale di “Amore diverso”, per la figlia Elettra, tanto amata e tanto sfortunata. Le favole io non le so e soprattutto non ci credo, però posso provare ad inventarne una che ti parli di tutto l’amore che ho per te e di tutta la vita che hai vissuto e che vivrai. Il finale musicale piano e orchestra è una perla bellissima e struggente, ricorda certi passaggi di Morricone.
  9. COME IN UNO SPECCHIO – Questa è in assoluto la canzone che avrei sempre voluto scrivere, ma che non sono mai stato in grado di fare. Echi di Fossati per uno dei testi più belli degli ultimi 30 anni. Il nostro peggiore nemico è dentro a noi stessi e non possiamo vincerlo da soli, abbiamo bisogno di confrontarci continuamente.

L’album si chiude con la recita della preghiera laica “The Portage Philosophy” di Richard Beauvais, un inno alla condivisione, delle proprie gioie, per aiutare gli altri a raggiungerne una propria, e dei propri difetti per poterne uscire con l’aiuto degli altri.

L’album è prodotto dal compianto Angelo Carrara, per lungo tempo al fianco di Finardi e concepito in studio agli Psycho di Milano con quell’altro genio purtroppo scomparso di Paolo Panigada (Feiez di Elio e le Storie Tese).

Uno degli album più intensi e più sentiti di Eugenio Finardi, contentissimo di averlo nella mia sconfinata collezione e contentissimo che la nostra strada cominci da qui.

Alla prossima.

eloraback

1989Amedeo BianchiAngelo CarraraBob CalleroCico CicognaniDemo MorselliEugenio FinardiFabrizio ConsoliFranco CufoneLucio FabbriPaolo CostaPaolo PanigadaRichard BeauvaisStefano De CarliVittorio CosmaVittorio RautiWalter Calloni
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