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1997 – Terra e libertà – Modena City Ramblers – Blackout/Polygram

1997 – Terra e libertà – Modena City Ramblers – Blackout/Polygram

Dicembre 24, 2014 Diceilsaggio 0 1056

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Terra e libertà… è un difficile compito quello di parlare di un album che mi ha fatto letteralmente impazzire sin dal momento in cui, ben prima della sua uscita, ho avuto modo di parteciparvi capitando allorquando in studio durante le fasi della lavorazione e canticchiando qualcosa qui e là nei poderosi cori che ci sono in questo album.

E la cosa mi è ancora più difficile trovandomi a parlare di un album di una band al cui collettivo ho, a più riprese, preso parte per alcuni anni, soprattutto nella fase in cui si doveva fare partire la band.

L’anno di cui ci accingiamo a parlare è il 1997.

I Modena City Ramblers stanno facendo passi da gigante, sono con ragionevole dose di certezza al vertice della loro parabola, ma devono scrollarsi di dosso l’aura di “collettivo senza regole e a formazione fluida” per trasformarsi in una band stabile ed affrontano un paio di cambi di formazione importanti per arrivare ad un assetto che sia il più possibile definitivo (la storia ci insegna poi che comunque così non sarà ed i cambi di formazione saranno ancora tanti, ripetuti ed anche importantissimi, tanto da essere l’attuale formazione diversa per 6/8 da quella iniziale).

E in quell’anno arriva “Terra e libertà”, il loro terzo disco, in cui prende vita il nuovo “genere” che la band vuole esplorare ed affrontare.

Lo studio che i Ramblers usano in questi anni è sempre e solo l’Esagono di Rubiera, dove staziona anche quella che è la produzione artistica della band, curata da Arcangelo Kaba Cavazzuti il quale si occupa anche di registrare le tracce di questo album.

La formazione che entra in studio vede Stefano “Cisco” Bellotti alla voce, Giovanni Rubbiani alla chitarra acustica, Alberto Cottica alla fisarmonica, Massimo Ghiacci al basso, Roberto Zeno alla batteria, Franco D’Aniello al flauto, Francesco Moneti al violino e alla chitarra elettrica, Massimo Giuntini alla uilleann pipe, al banjo e al bouzuki.

Le esperienze di viaggio condivise dai membri sono state tante e tali da non comprendere più solo la verde Irlanda, tanto amata patria delle ballate dei primi due album.

Si comincia a sentire un cambiamento di stile, una fusione tra la musica celtica (anche quella più vicina al punk tipo The Pogues) ed il melting pot delle grandi periferie (vi ricorderete le banlieue cantate nel singolo che aveva aperto il secondo album “La grande famiglia”) tipico di band come Mano Negra o Les Negresses Vertes a cui la band ha sempre cercato di approcciarsi.

Questo cambiamento è esemplificato dalla prima canzone ad essere scritta per l’album, la seconda traccia del cd “Il ritorno di Paddy Garcia”. Viene ovvio chiedersi chi sia Paddy Garcia. Un personaggio di fantasia che ha già nel certificato anagrafico un incontro tra Paddy (nome tipicamente irish, oltreché di un noto Whiskey) e Garcia (il cognome ispanico per antonomasia, emblematicamente, da Zorro in poi) può soltanto essere il fil rouge che unisce un concept album come Terra e Libertà.

L’ambientazione latina si riverbera anche sui testi delle canzoni, ispirate ai nomi forti della letteratura di lingua spagnola contemporanea come il franco/cileno Luis Sepúlveda, il colombiano Gabriel García Márquez, l’ispano/messicano Paco Ignacio Taibo II e l’uruguaiano Daniel Chavarría.

Primo lavoro da veri professionisti, quindi: per buona parte dell’anno precedente i “Modeni” lavorano certosinamente per affilare le unghie e trovare il suono giusto per ogni canzone.

Il titolo Terra e Libertà è chiaramente una citazione ed un omaggio all’omonimo film di Ken Loach.

Suggestioni letterarie, cinematografiche e visionarie molteplici si susseguono scorrendo le tracce di quello che a tutt’ora rimane a mio avviso il capolavoro dei Modena City Ramblers.

  1. MACONDO EXPRESS: Cent’anni di solitudine e la penna di Marquez lasciano subito la propria impronta indelebile nel brano di apertura, la canzone più festaiola di tutte e 15 le tracce del disco, quasi un inno.
  2. IL RITORNO DI PADDY GARCIA: E’ subito spiegato il mistero “è la parte migliore di tutti noi”. Paddy Garcia era già stato evocato una decina di anni prima dai Pogues. E’ la persona a cui affidare la nostra volontà di riscossa ed ora… dopo decine di miracolosi e segretissimi avvistamenti possiamo dire che è ufficialmente tornato. E’ ora di ripartire.
  3. IL BALLO DI AURELIANO: L’ambiente è ancora quello del capolavoro di Marquez per quella che a mio modesto parere è di gran lunga la più bella canzone di sempre nella produzione della band. Una menzione speciale per la uilleann pipe di Massimo Giuntini che sottolinea in maniera egregia tutto il brano. Il meglio arrangiato del disco.
  4. REMEDIOS LA BELLA: Una dolcissima ballata ancora ispirata al romanzo di Marquez e dedicata alla donna che ha rapito la fantasia di moltissimi giovani, una bellezza impalpabile, quasi angelica, tant’è che il cielo se la è ri-presa e portata via.
  5. RADIO TINDOUF: La suggestione qui è molto diversa. Questo brano ci porta in Saharawi, dove i Modena sono stati più volte a conoscere la realtà dei campi profughi Saharawi in Algeria. Suggestiva e suadente la ritmica retta dalla darboukka suonata da Kaba Cavazzuti (a quei tempi produttore dei MCR).
  6. MARCIA BALCANICA: Un brano strumentale chiaramente omaggio al cinema di Emir Kusturica e all’amico Goran Bregovic e alla sua scanzonata orchestra.
  7. DANZA INFERNALE: Ritmo speditissimo per un pezzo non certo indimenticabile.
  8. QUALCHE SPLENDIDO GIORNO: Il prologo alla partenza del viaggio del Che. Quando si parte per un lungo viaggio qualcosa lo si lascia sempre, una casa, una donna, qualcuno ad aspettarci.
  9. TRANSAMERIKA: Una trasognata trascrizione del viaggio di Ernesto de La Serna e Alberto Granado da cui il primo decise di diventare El Che Guevara ed il secondo di cantare per sempre le gesta del primo nei suoi diari oramai famosissimi, da cui è stato tratto anche uno splendido film.
  10. LETTERA DAL FRONTE: Una struggente ballata dedicata alla caducità della vita quando si è persi in una qualunque guerra ed al senso di abbandono per la mancanza di contatto con gli affetti più cari dai quali non si può sapere quando, come e se si ritornerà mai.
  11. L’ULTIMA MANO: La partita che non si dovrebbe giocare mai, ma se va bene cambia la vita. Se va male però… Ormai siamo in ballo, e quindi balliamo.
  12. CUORE BLINDATO: Riff di chitarra a tutto spiano per un brano che invoca la possibilità di tenersi dentro le proprie emozioni per far sì che niente e nessuno possa farci del male per nessun motivo.
  13. DON CHISCIOTTE: I dubbi del protagonista dell’opera di Cervantes, antico padre di quasi tutti coloro che combattono per un ideale probabilmente irraggiungibile, ma inteso così alto da renderlo possibile per i nostri sogni. Il padre dell’utopia che ha spinto anche Guevara e tutti i rivoluzionari dell’America latina
  14. CENT’ANNI DI SOLITUDINE: Un altro bellissimo episodio che è entrato nella memoria collettiva per l’energia che esprime dal vivo. Ritornello accattivante da urlare tutti insieme. Un singolo costruito molto bene. Il pezzo che sintetizza meglio l’incontro tra cultura celtica e latino-americana.
  15. L’AMORE AI TEMPI DEL CAOS: Ancora una volta c’è un riferimento a Marquez (L’amore ai tempi del colera). Gli album dei Modena si chiudono sempre con un brano sognante e pieno di amore e gonfio di buoni sentimenti. Era il caso di “Ninna nanna”, era il caso di “La strada” e questa non è da meno. Echi di Dylan, del migliore che si sia mai sentito.

Per chi non si è mai tuffato nel mondo dei Modena forse non è l’episodio più semplice da cui cominciare a farlo, però è certissimamente l’album più maturo. Quello più complesso, quello più completo.

Un gran bel lavoro.

Alla prossima.

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Alberto CotticaCisco BellottiDaniel ChavarríaEmir KusturicaFrancesco MonetiFranco D'AnielloGabriel García MárquezGiovanni RubbianiGoran BregovicKaba CavazzutiKen LoachLuis SepúlvedaMassimo GhiacciMassimo GiuntiniModena City RamblersPaco Ignacio Taibo IIRoberto Zeno
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