Detta così suona un po’ strano perché invece dal punto di vista della musica è noto che a tempo ci vado benissimo, al punto da fare spesso impazzire il mio batterista che invece è più propenso a cali e riprese di ritmo (niente che pregiudichi l’esecuzione, però mentre stai suonando insieme te ne accorgi…), e soprattutto i miei allievi che a volte vorrebbero farmi fuori per la veemenza con cui cerco di inculcare loro il culto dell’andare a tempo.
Dicevo che sono un uomo fuori tempo perché io sono cresciuto figlio di una generazione che Amava la musica, e sono cresciuto fratello di un’altra generazione che Amava la musica (vedremo in seguito a cosa dobbiamo la A maiuscola).
E amo la musica, ma mi sono perso il passaggio in cui il mio amore non sono riuscito a trasmetterlo a chi mi sta intorno o ai miei figli.
Non ho saputo fare sì che non succedesse che si entrasse in un periodo in cui la musica ha più un aspetto di contorno che non quello di un momento aggregativo importante.
Io mi ricordo ore e ore passate con i dischi sul piatto o il cd nel lettore da un certo punto della mia vita in poi a leggere le note di copertina per immaginare cosa succedesse e come nello studio al momento della registrazione, o cosa e come succedesse nella testa dell’autore al momento della composizione, o dell’arrangiatore al momento della stesura delle parti, ovvero cosa scattasse nella testa del produttore nel momento in cui decideva di investire su un progetto piuttosto che su un altro.
Ho sempre pensato che ogni casa “seria” dovesse avere una posizione al vertice del triangolo creato dal raggio di emissione di un paio di casse stereo in cui mettere una poltrona, una lampada a piantana e un tavolino, così da poter creare quel momento di ascolto/lettura e accompagnarlo con un buon bicchiere di vino da meditazione/compagnia (per questo il tavolino, ovvio) che fa sì che tu possa entrare all’interno di un’opera e possa essere lì “nel” momento.
Faccio un esempio, avete mai letto Hemingway?
Ecco, il buon vecchio Ernest, aveva la capacità narratoria di metterti esattamente nel cono di luce dell’azione. Per esempio eri sempre seduto a fianco di Robert Cohn in Fiesta per tutto lo svolgersi dell’azione e mai in un solo momento ti sei sentito altrove.
Ascoltare un disco dovrebbe riuscire a darci esattamente quella sensazione. Bisognerebbe riuscire sempre a catapultarcisi dentro con la stessa veemenza con cui Hemingway riusciva a portare il lettore dentro all’opera.
Bisognerebbe fare lo sforzo di provarci. Cercare di capire il perché certe cose vengano scritte, perché vengano suonate in una certa maniera piuttosto che in un’altra.
E invece oggi la musica che funziona è tutt’altro.
“E’ fatta da ragazzini che non sanno suonare nulla, che non sanno nemmeno terminare una canzone con la stessa intonazione con cui l’hanno iniziata e nemmeno alla stessa velocità” (Steve Lukather, 2013).
La musica che funziona oggi non è altro che un sottofondo il più facile possibile per altre attività veloci.
La cultura del fast food, del “mordi e fuggi” ha colpito anche la musica.
E’ calcolato che negli ultimi 20 anni una canzone che funziona ha perso almeno un minuto di durata. Negli anni ’90 una canzone radiofonica era di circa 4 minuti, ora si tagliano ad uso radiofonico quelle di 3 minuti.
Non lamentiamoci allora se nessuno ora scriverebbe più “Purple Rain” o “Stairway to heaven” contando che verrebbero ascoltate.
Il mercato non le vuole. Sono state già scritte. Il momento catartico del loro ascolto te lo devi ritagliare ripescando il vecchio vinile, fra le tue 4 mura domestiche, o con il cd o l’mp3 in auto… possibilmente durante un lungo viaggio autostradale.
E’ l’uso che si fa della musica che ne determina la vita.
Triste ma vero.
Auspichiamoci un ritorno a qualcosa di bello, perché nei momenti di crisi (e il mondo è in crisi nera, soprattutto culturale, è arrivata prima ed è sempre la mamma di tutte le crisi, quella della cultura) può saltare sempre fuori qualcosa di bellissimo o la riscoperta dei veri valori in un nuovo “neoclassicismo”.
Auguriamocelo, per noi, per i nostri figli, per il mondo.
Buona musica e alla prossima.
L’ha ribloggato su Diceilsaggio.